il cacciatore nella luce che gli spetta
Cari lettori, scrivo il mio primo editoriale su Cacciare a Palla con il cuore carico di emozioni discordanti. Poco più di un mese fa, l’editore mi ha offerto il coordinamento della rivista e di riprendere il discorso che, purtroppo, Danilo Liboi non ha potuto continuare. Gioisco dell’onore che mi è stato concesso anche se, avendo conosciuto e apprezzato chi di questa rivista è stato la mente, nell’accettare questo incarico mi accompagna uno spesso velo di tristezza.
Conosco il prestigio della testata, con la quale collaboro ormai da tempo, e sento il peso della responsabilità di portare avanti l’eredità ingombrante – non solo fisicamente – di Danilo. Credo fermamente che il vuoto che ha lasciato in noi e nel nostro mondo sia impossibile da colmare. Si può solo, come ci ha scritto uno dei suoi tanti estimatori, “fare in modo che la sua traccia non venga ricoperta dalla neve, che rimanga sempre viva e continui a diffondere quei valori che si era da sempre impegnato a trasmettere”. Useremo parole diverse dalle sue, faremo qualche scelta differente, ma chi Danilo lo ha apprezzato può stare tranquillo che il suo messaggio continuerà a ispirare queste pagine.
Nel presentarmi a chi, tra voi, non mi conosce, mi piace ricordare che la caccia fa parte del mio bagaglio di formazione familiare. Ancora bambino ho iniziato ad accompagnare mio padre nelle sue avventure venatorie, prevalentemente alla penna, e ho sempre vissuto con un cane in casa. Prima Scilla, poi Asso sono stati miei compagni di giochi e in seguito compagni di caccia. Tra i più bei ricordi della mia infanzia ci sono le serate passate ad osservare mio padre mentre ricaricava, le aspettative delle tante aperture, l’emozione di una ferma del cane o lo sfrascare di un cinghiale che si avvicina alla posta. Da più di vent’anni, ormai, sono cacciatore. La frenesia della vita non mi permette di cacciare quanto vorrei, ma la mia attività venatoria è piuttosto varia e spazia dalla penna agli ungulati.
Alcuni anni fa, confidando a un amico giapponese la mia passione per la caccia, mi stupii quando mi sentii definire un “ambientalista”. Sorrisi, pensando a tutte le sigle che usurpano quell’appellativo e che lui, ignaro delle miserie della nostra Nazione, non poteva conoscere. Mi disturbava che mi venisse appiccicato quell’aggettivo eppure, metabolizzato l’iniziale sgomento, sono arrivato alla conclusione che ambientalista lo sono davvero, così come lo sono i tanti cacciatori che hanno un rapporto leale con la selvaggina e con l’ambiente. Quei cacciatori che hanno la consapevolezza che la conservazione della natura sia un dovere non solo per chi abbia un tornaconto politico ma soprattutto per chi, e il cacciatore è tra questi, la vive.
Sono abituato a difendere la caccia dagli attacchi dei finti ambientalisti, degli animalisti, dei pavidi che aborrono l’uso delle armi e l’uccisione della preda. Molto spesso ho dovuto difenderla anche da qualche bello spirito che pensa esista un bracconaggio “etico”. La nostra civiltà è frutto di un lungo cammino. Ci siamo dati un ordinamento giuridico che, per quanto migliorabile, è la nostra unica difesa dal caos. Da un mondo di diritti senza doveri, di soddisfazione del proprio ego a scapito della comunità. Dico questo perché credo fondamentale continuare la battaglia di Danilo, una battaglia che pone il cacciatore nella luce che gli spetta. Dobbiamo insegnare la nostra passione alle nuove generazioni su basi contemporanee, guardando al futuro. Ciò che deve animare la nostra attività venatoria non può essere il facile abbattimento, ma qualcosa di più profondo. La caccia fa parte delle nostre tradizioni, della nostra identità, della nostra civiltà. Civiltà è un collegamento a tre dimensioni che connette il presente con le testimonianze del passato e il futuro. Se qualcuno dovesse mai riuscire a impedirci l’esercizio venatorio, avremmo una tradizione in meno da trasmettere ai nostri figli, ne saremmo immensamente impoveriti e assisteremmo a un ulteriore momento di decadenza dei nostri valori. In bocca al lupo a noi tutti per il compito che ci aspetta.
Matteo Brogi, editoriale Cacciare a Palla maggio 2015
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Category: Libri/Riviste
Comments (1)
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I miei auguri signor Brogi.
Devo tuttavia auspicare che la sua linea editoriale sia meno “integralista” di quella del suo predecessore.
L’ha appena scritto che “Se qualcuno dovesse mai riuscire a impedirci l’esercizio venatorio, avremmo una tradizione in meno da trasmettere ai nostri figli, ne saremmo immensamente impoveriti e assisteremmo a un ulteriore momento di decadenza dei nostri valori…”
Se dunque al sottoscritto che pratica la caccia ai cervidi col segugio vorrà riservato lo stesso trattamento che viene riservato a tutti gli altri, allora avrà un estimatore in più. Diversamente, se vorrà continuare con gli “attacchi isterici” al segugio che hanno contraddistinto la “linea editoriale” di Liboi, allora mi auguro che la neve scenda copiosa!