Il “terra” per cacciatori
La posizione corretta del cane da ferma a cui è stato imposto il “terra” è appiattito sul terreno, con la testa distesa fra le zampe, afferma Felice Delfino, autore di “Addestramento del cane da ferma”, il libro più rieditato e letto in Italia su questo argomento. Felice Delfino era piemontese e di lui non si sa molto perché, paradossalmente, di questo gigante della cinofilia venatoria non risultano biografie dettagliate. Solamente intuendolo dagli accenni che l’autore fa nel suo capolavoro - che letteralmente “consumai” all’epoca in cui cacciavo con il cane da ferma - si capisce che era militare di carriera. Ebbene, Felice Delfino, cultore del metodo di addestramento fondato sull’insistenza dolce, ma inflessibile, nell’imporre al cane le regole di comportamento, sostiene che è assolutamente necessario imporre al cane il “terra” nel modo sopra descritto, che costituisce e concretizza il massimo grado di sottomissione.
Il “terra” perfettamente eseguito e inflessibilmente imposto frena il soggetto più caparbio e esuberante e impone l’ubbidienza assoluta, utile in tutte le circostanze della caccia. Perché dunque tutto questo lungo preambolo parlando di cani da ferma e della base del loro addestramento in una rivista come Cacciare a Palla, dove si parla di una forma di caccia in cui non si usano questi cani?
È semplice: su Facebook si accendono di quando in quando vivacissime e colorite discussioni sull’opportunità o meno di osservare i rituali venatori, in genere mutuati dalla caccia mitteleuropea per il semplice motivo che proprio nella Mitteleuropa è stata codificata la caccia a palla agli ungulati. Alcuni stravedono per questi rituali - Bruch, Weidmannsheil, abbigliamento eccetera - mentre altri sostengono trattarsi di fesserie germanizzanti, inutili, ridicole e inadatte a far emergere il rispetto per il selvatico che - dicono - si può estrinsecare “in ben altro modo”.
Dico subito che io sono dello stesso parere di chi difende i rituali metteleuropei e, poiché su Facebook non è facile esprimersi compiutamente, essendo il social network per sua natura uno strumento conciso, ecco che intendo qui spiegare il motivo per cui, secondo me, i cacciatori dovrebbero adottare criteri di comportamento e rituali specifici. Non importa se scimmiottando quelli germanici, oppure adottandone di altri, magari inediti.
Mi appello dunque a Felice Delfino e alle sue filosofie sull’addestramento dei cani: in fin dei conti, noi umani non siamo molto distanti dagli altri animali nei comportamenti di base e in quelli indotti. Lo stesso Delfino si chiede se sia necessario costringere il cane alla posa appiattita di cui si diceva, quando, in effetti, per l’utilità venatoria basterebbe che si arrestasse al frullo o al comando.
Ebbene Delfino dice che: “Quando poi il cane adulto bene addestrato ed esercitato in caccia, si è consolidato con spontaneità nelle correttezze volute, quel grado massimo di sottomissione non avrà più ragion d’essere, perché il terra è un mezzo, non un fine”. Ecco le parole magiche: “Un mezzo, non un fine”.
Le ritualità che una certa tradizione ha elaborato come estrinsecazione visiva dell’etica venatoria hanno - secondo me - verso il cacciatore la stessa funzione addestrativa del “down/terra” nei confronti di un cane esuberante e carico di passione: impongono una regola. Inducono ad una forma mentis particolare, improntata alla correttezza e al rispetto, facendo capire che la passione deve essere sottoposta alle redini e al morso della ragione. Mettono nel cervello del cacciatore il concetto che la fauna non è il suo giocattolo domenicale, ma ha il proprio valore come essere vivente e come preda.
Insomma tutto questo (Bruch, rametti vari, saluti particolari, quadro di caccia e quant’altro…) è bello sempre, in quanto attribuisce una positiva ritualità a un’attività che non è solo uccisione, come pensano i nostri detrattori, ma serve soprattutto agli inizi, quando la passione spesso rischia di prevalere sulla buona educazione e sull’immagine che i cacciatori danno all’esterno. Una disciplina, apparentemente fatta di inutili formalismi è, insomma, utilissima a stampare nella mente del cacciatore l’imprinting corretto che ne influenzerà, in seguito, tutte le azioni venatorie. E non solo… Non vogliamo usare le tradizioni di origine germanica? Bene: cerchiamone altre, oppure inventiamone di nuove, che suggeriscano l’italianità, se proprio ci sentiamo travolti da un afflato di patriottismo che faremmo meglio a conservare per ben altri momenti della vita. Sempre tenendo presente, come diceva lo scrittore inglese Samuel Johnson, che “il patriottismo è l’ultimo rifugio dei farabutti”.
Insomma, penso che anche noi umani abbiamo bisogno di addestramento formale. Quando esso sarà applicato con costanza e continuità, saremo anche più scrupolosi osservatori della legge e forniremo a chi ci guarda da fuori un’immagine migliore. Allora, e solo allora, potremo allentare le redini e, se talvolta ci dimenticheremo del Bruch, non sarà niente di male, perché avremo lo stesso già capito che ciascun capo di fauna selvatica ha un grande valore, sia esso un’allodola o un cervo kapital.
Weidmannsheil! Per la caccia! Viva Maria!
Insomma, fate un po’ come vi pare… Ma fatelo!
Marco Buzziolo, Cacciare a Palla gennaio 2014
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Comments (2)
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Tanti auguri e buone feste a tutti .
Salve, non riesco a trovare da nessuna parte il suo libro sull’addestramento…qualcuno ha qualche consiglio?!…