Editoriale: Rinuncio o “ci provo”?
Rinuncio o “ci provo”?
Editoriale Cacciare a Palla dicembre 2013
Mi trovo a Scharnitz (Austria), nella splendida riserva di proprietà della Swarovski. Con una notevole dose di fortuna ho tirato la prima sera di caccia, prima che si aprissero le cataratte del cielo, un cervo maschio di tre anni (seconda testa) con un palco rotto. Caccia molto appassionante, condotta in un territorio che per un amante della montagna è davvero, come l’ho definito in un’altra occasione, uno spicchio di paradiso caduto sulla terra.
Gli altri colleghi, purtroppo, un po’ per sfortuna, ma in particolar modo per una pioggia torrenziale che si è abbattuta sulla zona per i tre giorni di caccia previsti, non hanno avuto occasioni per concludere. Quindi io e il mio accompagnatore continuiamo a uscire (possiamo abbattere anche caprioli e camosci, purché rientrino nei piani di tiro previsti), ma ci teniamo lontani dalla parte alta della valle (che si estende per ben nove chilometri), zona maggiormente idonea per i cervi, che stanno per entrare in quel fantasmagorico periodo dell’anno che, pur passando per esterofilo, mi ostino a chiamare Brunft (scrivere “periodo degli amori” proprio non mi riesce).
Malgrado il tempo davvero inclemente, effettuiamo alcune splendide Pirsch, entrando in boschi così belli da incutere un reverenziale timore di profanare qualcosa. Vediamo qualche capriolo, ma nulla di tirabile. Avviciniamo un paio di branchi di camosci molto al di sotto dei 300 metri prima di iniziare a leggerli, senza trovare alcunché di prelevabile (alla faccia di chi afferma che non è vero che sparando lontano inevitabilmente la distanza di fuga si allunga…).
Insomma, mi godo questo paradiso un po’ umido, ma la carabina rimane sempre sulla spalla. L’ultima mattina decidiamo di salire il versante destro orografico di una valletta laterale per un centinaio di metri, in mezzo a mughi grondanti acqua, per raggiungere un piccolo Ansitz dal quale si possono controllare un paio di promettenti radure che si aprono alla nostra stessa altezza, nell’altro versante della valle laterale.
Già la sera precedente, il mio accompagnatore mi aveva detto che l’indomani avremmo “provato” un capriolo dal trofeo maestoso, visto un paio di volte in primavera e poi sparito. Ancor prima di arrivare all’Ansitz controllo i due enormi ceppi di larice, tagliati a un’altezza prossima al metro, metro e mezzo, che si trovano all’inizio della radura: in quello di sinistra, dalla parte dei prati, è stata costruita una salina, per noi invisibile. Il ceppo di sinistra, quello con la salina, arriva a sfiorare con la sua porzione un fitto cespugliato. Ma in mezzo ai due ceppi si muove qualcosa. Un capriolo (maschio, perché riesco a vedere il pennello anche con il binocolo, essendo la distanza poco superiore ai cento metri) sta leccando avidamente il sale, che sarà colato abbondante a terra lungo la corteccia vista la pioggia torrenziale. Indico l’animale al mio accompagnatore, il quale dà uno sguardo con il binocolo, quindi mi invita a raggiungerlo velocemente.
Piazzo zaino, carabina e lungo e cerco di capire che cosa posso fare. Il capriolo alza ogni tanto la testa da sopra il ceppo, scoprendo solo il naso, un muso bianco latte e… un trofeo davvero incredibile: dannatamente alto, molto scuro, perlatissimo, con rose spesse dal diametro enorme e stanghe che hanno, in partenza, lo stesso diametro delle orecchie… Un vero proto-capriolo, il classico trofeo della vita (da entrambi valutato oltre i 140 punti CIC, perché il palco avrà quasi sicuramente anche un buon peso, considerato il foraggiamento invernale).
Il maschio è davvero vicinissimo; alzo a 12 gli ingrandimenti del cannocchiale e aspetto che mi faccia vedere un francobollo di pelo sotto il quale la palla possa incontrare organi vitali, anche dopo un lungo tragitto intra corpore. Passano i minuti e la situazione rimane statica (per un occasionale osservatore: dentro di me è tutt’altra cosa!) Riesco solo a vedere la pancia dell’animale, pennello compreso, una trentina di centimetri di colonna vertebrale e parte delle zampe posteriori. Sto utilizzando un 7×64 con palle RWS Evo e so benissimo che se tirassi in colonna o nell’incavo delle reni (con uscita dalla zampa posteriore destra), la ferita sarebbe così invalidante da fermare sul posto il capriolo (che andrebbe poi servito). Ma proprio non me la sento.
Il mio accompagnatore si è chiuso in un muto silenzio, che giustifica con la continua osservazione del capriolo con il suo 30×75 a soffietto, non mi abbia più detto nulla, quasi volesse non incentivare, ma certamente scaricare su di me tutta la responsabilità: “Fa come vuoi…” è il suo muto consiglio.
Il capriolo è ormai fermo da più di un quarto d’ora e so che fra poco lascerà la salina: non ho dubbi che sceglierà il percorso di uscita più coperto e mi affanno a trovare una finestra dove potrebbe passare. Un ultimo sguardo da sopra il ceppo, un’ultima scarica di adrenalina alla vista del suo incredibile trofeo e il maschio, effettuato un passo in avanti, sparisce, si smaterializza. A nulla servono i miei tentativi di scendere per provare a intercettare la sua traiettotia di fuga: si è semplicemente dileguato.
Rientro nell’Ansitz, l’accompagnatore prova a dirmi che magari tornerà, ma io so di averlo perso. Non sono un santo: in un lontano passato credo di aver tentato tiri peggiori.
Tentato. Quante volte sentiamo pronunciare questa frase da chi sta per tirare o che ci racconta le sue prodezze? “Io ci provo, tanto rischia di più lui” (no comment), oppure, ancora peggio: “Non vado al poligono, perché la carabina la taro sulla pelle degli animali”.
Possibile che non ci rendiamo conto che non stiamo bucando carta, ma gocando con la vita e la morte (cui aggiungerei atroci sofferenze) di un animale che certo non merita un approccio del genere?
Impariamo a rinunciare: sul momento la rinuncia al tiro, fosse anche presa nei confronti di uno yearling, brucia, ma poi, se siamo veramente cacciatori, la delusione non può che trasformarsi in un’intima soddisfazione di aver fatto la cosa giusta. “Ci provo”: no grazie, non più.
M.C. di Danilo Liboi & C.
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