Racconti: Tris, amico mio

| 21 gennaio 2013 | 9 Comments

Alessandro Fulcheris - ANLC Toscana

Quando mi fosti proposto ero un po’ scettico: un cocker che non riporta, da addestrare bene?? Però cerca, ha un gran naso, insomma ti regalavano. Ti chiamavi TRIS, per il tuo colore pezzato bianconero con sopracciglia rosse, mi venisti incontro subito scodinzolando, fu un colpo di fulmine.

In prova, ti buttai giù un tordo lontano, cadde in un forracone di rovi, ti tirai il sasso e sparisti subito, non ti sentivo più, ti chiamavo disperato dicendo dentro di me “Vai, ora l’ho anche perso, che cavolo gli dico al padrone??”. Ti trovai accucciato nella posta, mi aspettavi col tordo in bocca chissà da quanto. Mi dissi che eri mio per sempre.

Da quel giorno furono anni meravigliosi, goduti, col miglior cane che avessi mai avuto tra le mani, scovavi di tutto, battaglie coi porciglioni e gallinelle, beccaccini, fagiani e migratoria al passo. Eri grande. Nella macchia avevi perfino imparato, in vagante, a fare il giro largo e poi tornarmi incontro mandandomi in bocca sasselli e bottacci, e anche qualche colombo, piacevi da morire ai bimbi, giocavano tantissimo con te nell’erba, in garage, sulle scale di casa, come tutti certo, ma te eri te e non ti avrei cambiato con nessun altro.

Poi quel giorno con Alvaro, mentre gli scodinzolavi vicino ecco la prima crisi epilettica: uno strazio a vederti, Alvaro diceva questo cane ti muore, e invece dopo un po’ tutto passò ma non fosti più lo stesso. Ti curai come potevo ma il veterinario scuoteva la testa, le crisi epilettiche si susseguirono sempre più frequenti. Non mi riconoscevi quasi più, prendevi la strada e andavi via così al piccolo passo, senza guardarti intorno, inebetito. Dovevo rincorrerti e riportarti nel box, ma continuavo anche a portarti a caccia, nella vana speranza di un miglioramento. L’ultima volta, alla solita posta, mi sembrava che stavi meglio, davi retta, correvi su per lo stradello come ai bei tempi, non eri vecchio infatti, eri solo malato. Ti accucciasti nel tuo solito posto, dietro di me e a quell’unico tordo che passò e che cadde, ti alzasti di scatto vedendo come sempre dove era caduto e mentre ti aspettavo fuori della macchia, sentii di nuovo qualcosa di strano. Ti trovai nel mezzo di un’altra crisi, penosa, col tordo lì in terra.

Arrivò febbraio, caccia chiusa come tutti gli anni, ero al lavoro e mi chiamò Simone consigliandomi di portarti a far reprimere, ti vedeva anche lui, anche lui ci pativa, non ebbi il coraggio, non ce la facevo, non sapevo cosa fare, e a morsi e bocconi passò la primavera e iniziò la tua ultima estate, finchè ti trovai, lì fermo, come uno straccio. TRIS!!! Bello!! Provasti ad alzare la testa, ma ti ricadde subito. Dopo un ora era tutto finito. Ti misi in una carriola, ormai leggero, consumato dalla malattia, inerte. Da una parte mi sentivo come liberato da un peso, mi dicevo che avevi finito di soffrire, trovai un piccone e provai a fare una buca lì, vicino al tuo box, il terreno era di marmo, niente da fare. Chiamai Luciano, caro amico imprenditore agricolo con podere in pianura e una bella quercia proprio in mezzo al campo a un 100 mt da casa. Mi sentì subito al tono della voce: “Vieni Ale, lo mettiamo sotto alla quercia grande”, e venne anche Federico, il mio bimbo quello più piccolo, Riccardo era a scuola.

Ho sempre insegnato ai bimbi che l’uomo non piange, deve essere duro e superare le avversità. I miei figli non mi avevano mai visto piangere. Faccio una grande fossa, è pronta. Prendo un sacco di juta lì nel podere e ti ci metto dentro, piano, sei ancora caldo, o sarà questo caldo schifoso di agosto, sono madido di sudore, bestemmio.

Ho già chiuso il sacco con uno spago, ma lo riapro, voglio vederti ancora un ultima volta, mi ripassano davanti tante scene vissute insieme, io e te e le foglie secche, quando mi riportasti quel fagiano in padule, quel giorno che ti dissi vedendo cadere un tordo impossibile: “se mi riporti questo vado in pasticceria e ti compro una pasta” e dopo 5 minuti tornasti vincitore e la pasticcera che rideva……..e ora sei lì dentro al sacco. Ti accarezzo la testa, Federico mi guarda e prorompo in un pianto disperato, mi squassa la cassa toracica, Tris amico mio, il sole a piombo, il sudore, la quercia ferma, il vento trai suoi rami, un babbo e un figlio affranti che ricoprono dolcemente di terra fresca un canino dolce e bravissimo.

Quanto è il bene che un cacciatore arriva a volere al suo cane? Io ci ho pianto anche ora, sono passati quasi 10 anni da quel giorno. Giudicate voi.

ALESSANDRO FULCHERIS

 

 

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Category: Racconti

Comments (9)

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  1. Springer scrive:

    Gia’….Sono passati anni , 15 , da quando e’ morto il mio Brek e ogni qualvolta torno sul luogo della sua sepoltura o mi cadono gli occhi sulla fotografia che ci ritrae insieme giovani e spensierati mi si stringe il cuore…Quel giorno lasciai il lavoro, lasciai la mia Milano…chiamai mio cugino per farmi aiutare e andammo a seppellirlo in riva al Po :i sui luoghi di caccia, i luoghi che amava tanto e lo avevano visto protagonista per anni….
    Ciao Brek…Ci rincontreremo un giorno…? Mi auguro proprio di si :wink:

  2. renzo scrive:

    Se piangere vuol dire non essere uomo: ebbene io NON LO SONO , e non me ne vergogno affatto !
    Il mio amico il prossimo agosto compie 9 anni, non saranno troppi ,nemmeno pochini. Sta bene, è agile, caccia da Dio ( quando andiamo ) , ha uno spirito da giovincello…. e io GLI PARLO ! E lui capisce !

    Ecco cosa siamo , inguaribili romanticoni, che non vestiamo il cane con cappotti, che qualche volta gli chiediamo di graffiarsi la pelle con le spine, di ricoprirsi di fango, di sopportare il freddo e il caldo massacrante; cerchiamo di toglierli le lappole maledette dal vello facendolo pigolare di dolore, e noi piccolo bastardi senza gloria cerchiamo di tirare poco, inutilmente.

    Una carezza, un croccantino, un bravo… bastano a farlo felice; felice di stare accanto a noi . E noi , con il cuore indurito e la barba lunga ,sfatti dalla fatica del caldo di settembre … non ci facciamo vedere dagli altri che sta scendendo una lacrima di felicità per averlo accanto .

    GRAZIE Alessandro !

  3. renzo scrive:

    Se piangere vuol dire non essere uomo: ebbene io NON LO SONO , e non me ne vergogno affatto !
    Il mio amico il prossimo agosto compie 9 anni, non saranno troppi ,nemmeno pochini. Sta bene, è agile, caccia da Dio ( quando andiamo ) , ha uno spirito da giovincello…. e io GLI PARLO ! E lui capisce !
    Ecco cosa siamo , inguaribili romanticoni, che non vestiamo il cane con cappotti, che qualche volta gli chiediamo di graffiarsi la pelle con le spine, di ricoprirsi di fango, di sopportare il freddo e il caldo massacrante; cerchiamo di toglierli le lappole maledette dal vello facendolo pigolare di dolore, e noi piccoli umani senza gloria cerchiamo di tirare poco, inutilmente.
    Una carezza, un croccantino, un bravo… bastano a farlo felice; felice di stare accanto a noi . E noi , con il cuore indurito e la barba lunga ,sfatti dalla fatica del caldo di settembre … non ci facciamo vedere dagli altri che sta scendendo una lacrima di felicità per averlo accanto .
    GRAZIE Alessandro !

  4. Giovanni59 scrive:

    Il nodo alla gola è venuto su all’istante solo dopo aver letto le frasi di apertura…Nero si chiamava, un bellissimo bracco-pointer di soli 8 anni venuto a mancare improvvisamente circa un’anno fa, stessi ricordi Alessandro, stesse memorabili avventure, stesse soddisfazioni e credo anche stesso dolore. LUI era l’impersonificazione della vivacità, del brio e della salute, non si limitava a correre…volava letteralmente, fino a quando dopo 1 o 2 giorni di malessere me lo sono visto “crollare” letteralmente sulle proprie zampe,..clinica, lastre..ed il torace pieno del suo stesso sangue, tentato ricovero ma dopo 1/2 ora il destino si è compiuto. Ho un vigneto, adesso riposa sotto il grande ciliegio vicino ad altri 2 suoi consimili….. dicono che ogni tanto faccia bene piangere…è vero.

  5. dardo scrive:

    ho avuto il piacere di aver avuto un settre, un pointer, ed uno springer, che mi hanno regalato molto, e che per me erano come figli, nel momento del trapasso mentre guardi negli occhi questi cani senti una maledetta stretta al cuore e le lacrime sono doverose, non è possibile non piangere, negare l’affetto che ci lega ed unisce, pensando ai momenti felici mentre lo guardi negli occhi ed esso ti risponde senza por parola, gioire insieme, faticare insieme nel raggiungere quel selvatico che tanto si priva alla tua vista, un figlio al quale manca la parola ma degno di affetto totale ed incoddizionato, ricordi di un padre che ha avuto la gioia di conoscere la propria felicità . Attualmente vivo la mia felicità con un altro springer a mio dire espressione totale di affetto e lavoro assoluti ……un bimbo peloso nel quale ripongo tutto il mio affetto! Alessandro solo chi è insensibile e non sa cogliere quanto può regalare un bimbo peloso non versa lacrime…….

  6. Alessandro federighi scrive:

    Appena ho letto il titolo del pezzo ho capito che si trattava di un cane caro ,mancato …..mi ha ricordato la mia Maya,dopo una ferma e guidata su una bekka difficile,frullo ,sparo,riporto…………scova un cighiale,nn insegue ,strano,lo odiava…..cancro alla milza,lunedi operata e morta sotto iferri……la rimpiango spesso,l”ho seppellita dove ha cacciato x 11 anni……………..ora ho Stella e Argo(12anni),penso che Maya è andata via perche Stella era nel mio destino…………..grazie x il racconto Alessandro………………….adiosu!!!!!!!!!!!!!

  7. fiore scrive:

    Eppoi siamo noi i senzacuore!!!

  8. ghibli scrive:

    mi è venuto il nodo alla gola pensando ai miei cani
    se noi cacciatori saimo senza cuore cosa vuol dire piangere per i nosri cani da caccia più fedeli?
    se fossero solo animali non piangeremo così

  9. paolo scrive:

    orco zio….dovreste smetterla di scrivere certe cose. riesco a malapena a scrivere dalle lacrime. credo di non aver mai pianto tanto in vita mia come ho pianto quel giorno in cui la mia FRIDA è stata investita da un auto; e ogni volta che ci penso le lacrime riescono fuori, non era un cane, era mia figlia, una mia creatura. Oggi ho due bretoncine, i miei amori, e a volte quando rivivo certi ricordi soffro solo al pensiero che gli accada qualcosa di brutto.

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